L’intreccio virtuoso tra attività fisica e apprendimento

Sono davvero numerosissime le ricerche scientifiche – condotte su ragazzini di diversa età e classi di studio – che documentano la stretta e positiva correlazione tra attività fisica e potenziamento delle attività cognitive. In che modo?

La pratica regolare di esercizi (tra cui aerobica, nuoto, corsa e via discorrendo) sarebbe associata ad un aumento della neurogenesi, ovvero sia alla formazione di nuovi neuroni e alla promozione della plasticità cerebrale: tutti processi biologici indispensabili per il miglioramento della memoria, dell’attenzione e della capacità di problem-solving. E’ facile immaginare quali siano, in un contesto accademico, i benefici dello sviluppo della capacità di memorizzazione o di alto mantenimento del livello di concentrazione.

Proseguendo 

 Gli esercizi fisici stimolano il flusso di sangue e ossigeno al cervello, migliorando la funzione esecutiva e la capacità di focalizzare l’attenzione su compiti specifici. Questo è particolarmente rilevante in un contesto accademico, dove la capacità di concentrarsi su materiali complessi e di mantenere l’attenzione durante le lezioni è essenziale per un apprendimento efficace.

l'intreccio virtuoso tra attività fisica e apprendimento

Evidenze empiriche di un dato di fatto

E’ interessante citare, a proposito della correlazione tra apprendimento, comportamento e attività fisica, lo studio “Cervelli in Movimento” condotto nel 2019 dal medico Federico Traverso.Traverso assume come popolazione di studio soggetti di ambo i sessi, giovani, sani e appartenenti a differenti livelli scolastici: classi terze e quinte delle scuole elementari, scuole medie, superiori e università.

Pur non volendo fornire in questa sede una trattazione esaustiva del progetto (per i cui dettagli si rimanda al riferimento bibliografico), i risultati di “Cervelli in Movimento” rilevano risultati similari tra la massima capacità aerobica degli studenti delle classi quinte, misurata sulla base della massima efficienza dei sistemi cardiovascolare, polmonare e muscolare nell’utilizzare l’ossigeno, e l’efficienza delle funzioni cognitive, misurate attraverso il test PASAT, Paced Auditory Serial Addition Test.

Per dirla in altre parole, tali risultati hanno confermato come l’esercizio fisico possa effettivamente essere un fattore positivo nel potenziare la rapidità di elaborazione delle informazioni e nel limitare il numero di interferenze.

La correlazione tra massimo sforzo aerobico e capacità e funzioni cognitive è evidenziato, tra le numerose altre, anche nello studio della ricercatrice Diana Olivieri, secondo cui l’attività fisica sarebbe in grado di predisporre il cervello all’apprendimento, creando un ambiente ottimale per favorire il processo di acquisizione delle conoscenze, soprattutto tra i più giovani.

Tassonomia di R. Bartle

E’ sempre la dottoressa Olivieri ad affermare che i risultati della ricerca neuroscientifica condotta nell’esplorazione di una correlazione positiva tra attività fisica e sviluppo neurocognitivo portano ad un inequivocabile incoraggiamento delle pratiche sportive scolastiche ed extracurricolari, in quanto produttrici di un vero e proprio effetto sulla crescita strutturale del cervello, oltre che, come già detto, sullo sviluppo delle funzioni ad esso attribuite.

Una riforma dei programmi scolastici della materia sportiva negli istituti scolastici di ogni ordine e grado – aggiungiamo noi – dovrebbe dunque essere condotta in questo senso: in un approccio brain – based che sommi teoria e pratica, e funzioni da amplificatore della pratica sportiva, allargandosi ben oltre le sole ore dell’obbligo scolastico.  E’ interessante, a proposito di metodologie scolastiche e d’apprendimento, citare in questa sede il paper prodotto dai ricercatori 

Francesca Latino, Francesco Fischetti e Dario Colella (riferimento bibliografico in calce). Nel loro lavoro, i tre ricercatori elencano una serie di studi condotti negli anni e raccontati nella letteratura di settore sulla correlazione positiva tra l’attività fisica e lo sviluppo biologico delle funzioni cerebrali connesse all’apprendimento. Tra questi, ne viene riportato uno, che introduce il concetto di active-breaks, ovverosia “pause attive” nelle ore di lezione per migliorare rendimento scolastico e comportamento degli alunni di una data classe.

Lo studio condotto da Blom Skrade nel 2013 (e riportato da Latino, Fischetti e Colella) analizza proprio l’applicazione di tale metodologia su 312 studenti di 11 anni negli Stati Uniti: per 8 settimane, le lezioni curricolari di matematica sarebbero state integrate da un programma di attività fisica di circa 20-25 minuti a settimana.

I risultati dello studio

I risultati, riportano gli autori, evidenziano come, nel caso specifico, l’attività fisica, sebbene condotta per un breve periodo, abbia migliorato il rendimento scolastico degli alunni in maniera significativa rispetto ad un approccio classico di sole lezioni frontali.

Tuttavia, non sono pochi gli studiosi e ricercatori che mettono in guardia circa i rischi di  un’introduzione priva di strumenti adeguati della pratica sportiva quale strumento di didattica.

Questo cosa vuol dire? Che, affinché l’attività fisica abbia degli effetti tangibili positivi sulle studentesse e sugli studenti delle scuole elementari, medie o superiori che siano, è necessario che, alla pratica sportiva sic et sempliciter si leghi anche un chiaro intento pedagogico.

Per dirla semplice: far compiere circuiti aerobici ai propri studenti nelle ore di lezione potrebbe rivelarsi una pratica del tutto inefficace se non coadiuvata da una seria trattazione della materia, con percorsi e metodologie condivise a livello generale finalizzate anche alla diffusione dei valori positivi legati alla pratica sportiva.

Sebbene sembri il punto più semplice dell’intera trattazione – tanto che lo si potrebbe quasi dare per scontato – è forse il punto nevralgico del sistema scuola italiano che, sicuramente non nella totalità degli istituti scolastici ma senza dubbio in percentuale non residuale, relega l’insegnamento dell’attività motoria a insegnamento quasi accessorio. 

Al netto di questa avvertenza, comunque, non sembra esserci alcun ulteriore dubbio sulla relazione positiva tra attività fisica e sviluppo cognitivo biologico. Di converso, la conduzione di una vita sedentaria, soprattutto tra bambini e ragazzi molto giovani e in età scolare può rappresentare un serio rischio, non soltanto per la possibilità di sviluppare malattie cardiovascolari, legate alla salute delle ossa o alla capacità di processare ormoni e sostanze vitali ma, come si è visto, anche per lo sviluppo delle funzioni cognitive e buon mantenimento della neuroplasticità. 

Senza contare l’impatto della sedentarietà (o, specularmente dell’attività fisica) sul benessere mentale, emergenza dei giorni nostri. 

Muoversi bene, stare bene

Torniamo dunque al concetto di Giovenale, sebbene nella sua interpretazione giapponese de “Anima Sana in Corpore Sano”. E sì perché l’importanza dell’attività fisica nell’ambito dell’apprendimento non si limita (non potrebbe) alle questioni biologiche. Anche gli aspetti psicologici svolgono un ruolo significativo. 

Notoriamente, lo sport e più in generale l’esercizio fisico impattano positivamente sul benessere mentale, riducono lo stress e migliorano l’umore: elementi essenziali (non meno della produzione di nuovi neuroni e nell’efficientamento della plasticità mentale) per la gestione dello stress e per creare un ambiente mentale ben predisposto all’apprendimento. E, rassicuriamo i più scettici: si tratta comunque di biologia. 

Innanzitutto, l’esercizio regolare è associato alla produzione di sostanze chimiche cerebrali benefiche, come ad esempio l’endorfina, l’ormone del buonumore. Questa produzione endogena di sostanze che inducono una sensazione di benessere contribuisce dunque in maniera diretta alla gestione dello stress e fornisce un efficace meccanismo naturale di difesa nei confronti delle tensioni quotidiane.

Procedendo sempre in questa direzione, un’altra sostanza rilasciata dal cervello nell’esercizio della pratica sportiva è la dopamina, neurotrasmettitore chiave nella regolazione degli stati umorali e della motivazione. La dopamina, in altre parole, può contribuire a creare un ambiente mentale positivo e stimolante e, pertanto, per tornare al nocciolo della nostra questione, maggiormente propenso all’apprendimento. 

Terzo punto: gli effetti positivi dell’attività fisica sul benessere mentale o sulla salute mentale non si limitano al solo momento dell’esercizio, ma mantengono una valenza positiva che perdura nel tempo creando una sorta di circolo virtuoso che potenzia la resilienza psicologica e permette di pervenire ad una più efficace gestione delle sfide cognitive ed emotive.

Ora, operando una forse troppo semplice inferenza, è lecito pensare che l’introduzione di ore di pratica sportiva all’interno dei programmi scolastici possa avere effetti benefici sulle capacità d’apprendimento degli studenti, ma anche sulla loro socievolezza e capacità di rispondere, in maniera adeguata, a fattori esogeni di stress e malessere. 

E’ ovviamente chiaro che, queste elencate sono solo alcune delle motivazioni che dovrebbero spingere docenti, genitori e studenti ad incorporare letteralmente e regolarmente l’esercizio fisico nella propria routine quotidiana per non soltanto promuovere la salute generale, ma anche quale forma di prezioso investimento nella creazione di condizioni ottimali per l’apparato mentale di discenti e studenti.

📝 Estratto dell’articolo a cura di Edda Guerra.

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