Lo sport scende in campo

La corporeità riflette il trampolino di lancio per ogni tipo di sport, pertanto qualsiasi attività praticata dall’individuo non può prescindere dal suo nucleo più concreto: il corpo.

Quest’ultimo difatti non solo rispecchia pienamente un contenitore di energie, pulsioni ed emozioni, bensì è il canale preferenziale grazie al quale tradurre questi medesimi fattori in opportunità espressive.

Una buona educazione allo sport, pertanto, se da un lato promuove l’integrazione, la relazione e la socializzazione, dall’altro tesse la trama per un’identità psicosomatica rispetto alla quale mente e corpo possono restituire all’individuo un rinnovato equilibrio.

Secondo i dati presenti in letteratura una buona pratica allo sport non solo è in grado di apportare benefici sui vari distretti dell’organismo, bensì è in grado di tradurre quello che definisce “lo slancio vitale” in nuove capacità relazionali ed intrapsichiche.

Dedicare dunque maggior tempo a una buona pratica sportiva aiuterebbe a migliorare e incrementare le prestazioni cognitive ed emotive che nel quotidiano spesso e volentieri risultano al servizio delle richieste esterne.

Grazie quindi ad esempio all’impiego di un apprendimento di tipo cooperativo accompagnato dalla promozione di aule disciplinari, lo sport restituirebbe al corpo la sua identità più intima; il suo movimento

Lo sport scende in campo

Muoversi nel proprio spazio e con i propri tempi

La vita di ogni individuo a partire dall’infanzia è connotata da una moltitudine di esperienze di tipo emotivo e relazionale. Le quali all’unisono nella propria successione sia spaziale che temporale promuovono una graduale aperura in rapporto al mondo esterno, nei confronti del quale il nostro corpo inizia ad abitare ed esplorare una realtà in continuo divenire. 

Si può dunque ipotizzare come la nostra corporeità abiti un mondo in grado di apportare notevoli modifiche psichiche e neurobiologiche.

Un passo indietro

Riavvolgendo le lancette del tempo e tornando ai primordi dell’infanzia è possibile constatare come il bambino inizi a muovere i primi passi in rapporto a quanto avverte all’interno del proprio corpo entro cui prendono forma emozioni e cognizioni attraverso i quali orientarsi nel mondo circostante. Imparando ad esempio a camminare impara non solo a ridurre la sua distanza da quanto lo circonda bensì a dar voce ad un linguaggio fisico-corporeo attraverso cui sviluppare una coscienza e ancor più una nuova identità psicosomatica.

Col passare del tempo il bambino sviluppa dunque una motilità con la quale promuovere una “pro-tensione” in direzione di quanto lo circonda e ancor più in base a quanto percepisce a livello emotivo. Abitare il corpo equivale a conoscere il mondo e tutto quanto lo caratterizza, cosicché quanto viene assimilato a livello fisico e cognitivo determina un vero e proprio scambio: una co-costruzione. 

Gli oggetti del mondo infatti hanno la funzione e la possibilità di indicare al corpo stesso quelle che sono le sue possibilità, la sua fisionomia e la sua qualità, garantendo il suo avvicinamento o al contrario un distanziamento.Il significato delle proprie mani infatti non risiede nella loro struttura scheletrica, muscolare e nervosa ma negli oggetti che si riesce ad afferrare e in quelli che sfuggono; la potenza e la capacità deambulatoria delle proprie gambe non è circoscritta nella loro posizione anatomica, ma nelle cose che in prima persona si desidera raggiungere oppure in quelle da cui ci si vuole allontanare.

Per disporre del proprio corpo non è sufficiente quindi una perfetta organizzazione anatomica e fisiologica bensì di un luogo dove il corpo stesso possa muoversi, esprimersi e conoscersi sotto le sue numerose sfaccettature. Le quali con il sostegno di un caregiver possono assumere il giusto significato e la corretta connotazione emotiva.

Difatti il nostro corpo non incontra lo spazio e il tempo in forma passiva ma viceversa li “dischiude” tramite il movimento.L’aspetto peculiare non è la presenza di uno spazio corporeo sotto un’ottica posizionale bensì di una misura situazionale come lo sport dove poter promuovere in maniera omeostatica e adattiva il proprio sviluppo. 

Una buona educazione all’attività motoria e i suoi invisibili benefici

A supporto di quanto proposto l’attività fisica riflette i suoi risvolti positivi sia sul piano psicologico che sul proprio benessere fisiologico, apportando notevoli miglioramenti anche per quanto riguarda la sfera delle emozioni. Le quali si rivelano capaci di apportare ulteriori benefici soprattutto sotto il profilo cognitivo; ad esempio una semplice passeggiata di trenta minuti è in grado di migliorare funzioni quali la memoria, l’attenzione e il pensiero. Di renderli più fluidi garantendo al proprio benessere un nuovo equilibrio psicofisico. Sia da piccoli che da adulti la pratica sportiva modifica infatti la produzione di ormoni e neurotrasmettitori grazie ai quali vivere in armonia.

Tra questi, quelli maggiormente conosciuti sono la serotonina, la dopamina e la noradrenalina che nel loro insieme garantiscono quei cambiamenti in grado di incidere al livello cerebrale.

Nondimeno ulteriori miglioramenti avvengono in maniera simultanea a più livelli, in quanto non solo avviene un reclutamento vero e proprio di più parti bensì una ristrutturazione di più circuiti tra loro diversi. Come ad esempio quelli coinvolti nelle emozioni e nella loro regolazione che prendono il nome di sistema limbico. Difatti l’insieme di queste modifiche sia fisiologiche che cerebrali indotti dall’attività sportiva, confermano gli effetti positivi sulle nostre emozioni e il concetto di reclutamento di più parti nel medesimo momento.

Tutta una questione di circuiti

A sostegno di quanto appena descritto promuovere una buona attività fisica stimola e favorisce la connessione tra la corteccia e i gangli della base e la via talamo corticale. Nello specifico infatti due connessioni riflettono una tipologia strettamente motoria; la prima di tipo esecutivo associativo e un’altra ancora di tipo emozionale. Nondimeno uno spunto di riflessione chiama in causa quella sottocorticale capace di rapportare l’ippocampo e l’amigdala.

Educare allo sport significa pertanto favorire non solo cambiamenti a livello morfologico cerebrali già a partire dall’infanzia ma anche e soprattutto promuovere la socializzazione tra pari, l’apprendimento di norme e regole che a livello sportivo altro non riflettono se non un momento ludico grazie al quale imparare insieme giocando.

Lo sport scende in campo!

In un contesto sia educativo che agonistico quanto si vorrebbe proporre non è una definizione di ruoli ma al contrario un senso di appartenenza tanto al proprio corpo quanto al gruppo (in questo caso una squadra) capace di promuovere l’espressione dei rispettivi potenziali: prima individuali e successivamente gruppali.

Lo sport permette difatti l’acquisizione di un linguaggio condiviso grazie al quale comunicare, riflettere e costruire un nuovo equilibrio: dove l’unico calcio da dare è allo stigma della diversità. 

Come accennato in precedenza una buona attività fisica induce la modulazione centrale di tre neurotrasmettitori fondamentali come la serotonina, la dopamina e la noradrenalina, nondimeno apporta sostanziali cambiamenti sia circa i fattori di crescita che di plasticità cerebrale (IGF-1). Pertanto un buon trattamento multidisciplinare non può escludere la prescrizione di una sana attività fisica.

Per fare tutto questo è possibile servirsi di alcune tipologie di intervento applicabili sia in ambito educativo che agonistico, tra cui ad esempio: la peer education, l’apprendimento cooperativo e l’impiego di aule disciplinari.

Nell’insieme riflettono tre modalità grazie alle quali promuovere sia un nuovo apprendimento sia una cooperazione tra pari finalizzata a creare il senso di unione e di appartenenza, cosicché ogni singolo individuo sia co-costruttore attivo e partecipativo della squadra del domani.

📝 Estratto dell’articolo a cura di Cristi Marcì.

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